Io non ho una figlia di tal foggia, nonostante alcuni parenti vicino il promontorio del Gargano, anzi proprio non ho una figlia, e fui costretto a scontare quasi tutta la pena inflittami, malgrado i miei tentativi patetici di garantire ad ogni secondino presente che comunque conoscevo bene la Susanna, popolarissima bella di notte della Stazione Ostiense.
Svolsero una rapida indagine sulle mie amicizie e scoprirono che erano limitate a un centro anziani, un club della Roma e a un circolo bocciofilo sul Tevere.
Salvatore, guardia ventunenne di Catania, non appena captò la parola “bocciofilo”, prese trepidante le chiavi della mia cella per liberarmi all’istante, ma era purtroppo presente un irreprensibile appuntato laureato in Lettere che con enfasi gli spiegò subito come quella parola nulla avesse a che vedere con le prosperose rotondità del gentil sesso.
Durante la reclusione conobbi un ex cacciatore d’avorio di frodo, arrestato per lesioni volontarie dopo una discussione da uomo a uomo con la moglie sul ruolo della donna, che secondo lui doveva limitarsi alla cucina e alla buona conduzione della casa.
Si difendeva dall’accusa di aver usato una lima di tre chili per la desquamazione della pelle a buccia d’arancia che la consorte aveva dalla sua ultima vacanza in Sicilia sostenendo di non aver compreso appieno le funzioni dei vari strumenti moderni per i trattamenti di bellezza esposti in una trasmissione pomeridiana sulla salute.
Aveva già avuto qualche noia con accese femministe in passato, come il giorno della sua operazione di appendicite, in cui si meravigliò non poco, oltretutto preoccupato per un’eventuale vendetta, quando, sotto quella mascherina da chirurgo,riconobbe l’inconfondibile volto di quella antipatica ed arrogante signora con cui aveva avuto giorni prima, durante una festa rionale, una violenta polemica sulle donne in carriera.
Ora fa il dentista per cuccioli ammaestrati, specializzato in estrazioni di canini, dopo due anni trascorsi come palafreniere capo in un allevamento equino dove smise di credere che il ferro di cavallo porta fortuna alle prime luci dell’alba di un mattino estivo in cui si chinò per raccoglierne uno mostrando due invitanti glutei a uno splendido stallone grigio dalla criniera fluente, che, dopo qualche esitazione, cedette alla tentazione, piantandovi un preciso colpo a due zampe.
Nella cella accanto, per mancanza di posto nel carcere minorile, c’era anche un tredicenne milanese coinvolto in una rissa con compagni di scuola: una sera in cui si picchiarono selvaggiamente per futili motivi legati allo scambio di figurine, rientrò a casa con il naso sanguinante prima di essere prelevato dagli agenti del Sisde, mentre il suo amico etiopico di colore restò per qualche giorno con un occhio bianco a causa dei pugni ricevuti.
Per colluttazione aggravata era stato arrestato due settimane prima anche Geppo, un vecchio falegname che lavorava in una antica bottega impregnata di un forte odore di quercia e colla situata in una stretto vicoletto proprio dietro Montecitorio, e meta di raffinati politici con il gusto per l’artigianato, almeno fino al nefasto giorno del tafferuglio causato da Bossi e tre membri, nel senso di militanti, del partito.
In effetti Bossi ce l’ha sempre avuta a morte con Collodi perché se invece del naso avesse pensato per Pinocchio a qualcos’altro di così lungo e duro forse la Lega avrebbe avuto già da qualche decennio un valido leader, e la Padania sarebbe ormai, forse, una realtà.