Non rovinarmi il paesaggio

Parliamo di Autorizzazioni paesaggistiche.

Il patrimonio culturale italiano è costituito dai beni culturali e dai beni paesaggistici, e la sua tutela è sancita dal codice dei beni culturali, D.Lgs. n. 42/04: le disposizioni contenute nel decreto indicano come Lo Stato, le regioni, le province e i comuni devono assicurare la protezione e sostenere la conservazione del patrimonio culturale, valorizzandolo e favorendone la possibilità di godimento.

La conservazione del patrimonio culturale comprende anche la riqualificazione degli immobili e delle aree sottoposti a tutela compromessi o degradati.

D’altra parte, la nostra Costituzione, al suo splendido, almeno nelle intenzioni, articolo 9, stabilisce che La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica, e tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.

Già nel 1939 erano definiti dalla legge i vincoli ambientali per luoghi di notevole interesse pubblico, e la Legge Galasso del 1985 ha reso automaticamente vincolati dal punto di vista ambientale molti territori, costieri, lacustri, montani, nei quali per costruire bisogna seguire l’iter di autorizzazione paesaggistica. Eccezion fatta per le zone omogenee A e B, in pratica centri storici e di saturazione, già edificate al momento dell’emanazione della Legge, oppure in zone previste in piani specifici di attuazione approvati.

Stessi obblighi paesaggistici per gli immobili per i quali è stata presentata richiesta di condono nel 1985, 1994 o 2003, con abusi su aree precedentemente vincolate.

I beni culturali presentano interesse artistico, storico e archeologico, mentre i beni paesaggistici sono rappresentati da immobili e aree del territorio di valore storico, culturale, naturale, morfologico ed estetico: in queste aree gli interventi urbanistici ed edilizi sono sottoposti a procedimento autorizzativo propedeutico all’ottenimento del titolo edilizio.

Per quanto riguarda Roma e dintorni, la competenza per il rilascio dell’Autorizzazione paesaggistica è della Regione Lazio, con sub-delega ai Comuni per interventi, indicati dalla Legge Regionale n. 8/12.

I procedimenti sono di due tipi, ordinario e semplificato: quest’ultimo, istituito con il DPR 139/2010, si sceglie  per opere di lieve entità, ma in pratica si differenzia poco dal procedimento ordinario, ad esempio per la assenza  dei render fotorealistici tra gli allegati obbligatori.

La presenza di vincoli paesaggistici è individuabile nella Tavola B del PTPR Regionale.

Gli interventi per i quali è prevista la richiesta di Autorizzazione Paesaggistica interessano variazioni di forma e volumetria degli edifici, demolizioni e ricostruzioni, variazione dei prospetti riguardo a balconi, aperture sulle murature, cornicioni, scale esterne, ascensori, tetti, canne fumarie, lucernari, abbaini, tettoie, cancelli pedonali e carrabili, installazione di impianti di condizionamento e parabole, per citarne solo alcuni.

La domanda in bollo, con diritti di segreteria di € 300, deve contenere una serie di documenti tecnici costituiti da relazioni, elaborati grafici, render fotorealistici.

L‘Ufficio Autorizzazioni Paesaggistiche verifica la completezza documentale e richiede eventuale documentazione integrativa, e trasmette il proprio parere alla Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio.
La Soprintendenza dà il proprio parere entro quarantacinque giorni dalla ricezione degli atti, e l’Ufficio Autorizzazioni Paesaggistiche, in caso di esito positivo, emette il relativo provvedimento paesaggistico mediante Determinazione Dirigenziale, pubblicata in un elenco specifico di autorizzazioni rilasciate.

Il principe degli interventi edilizi soggetti ad autorizzazione paesaggistica, e conseguentemente il più evidente degli abusi, è l’incremento di volume non superiore al 10% di quello della costruzione originaria, e comunque inferiore a 100 mc, cioè circa trentatré metri quadri per un’altezza di tre metri.

Ma il volume percepito dai vincoli paesaggistici è lo stesso volume identificato in ambito edilizio? Certo che no, e regolarizzare queste strutture è decisamente complicato. 

L’articolo 167 del codice dei beni culturali lo rende impossibile, anzi, visto che esclude aumenti di superficie e di volume dalla procedura di accertamento di conformità paesaggistica, con il proprietario costretto a ripristinare a proprie spese la situazione di regolarità: se avete fatto un ampliamento, una soprelevazione, un ripostiglio per gli attrezzi fareste bene a demolirlo direttamente, a prescindere dagli altri vincoli storici, archeologici, idrogeologici che possono insistere sul territorio interessato.

Così un piccolo volume tecnico, che dal punto di vista edilizio non è conteggiato ai fini della cubatura ammessa,  diventa inammissibile dal punto di vista paesaggistico e viceversa.

Le conseguenze dell’accertamento di conformità paesaggistica sono analoghe a quelle dell’accertamento di conformità edilizia previsto dall’art. 36 del testo unico dell’edilizia: se la domanda di sanatoria è accettata dell’ufficio competente segue una sanzione pecuniaria, mentre se l’illecito, tra l’altro penale, non è ammesso, è seguito dalla rimessa in pristino.

La differenza tra l’aspetto edilizio e l’aspetto paesaggistico, a prescindere se parliamo di un manufatto legittimo o abusivo, è che quest’ultimo è decisamente di natura soggettiva: per qualcuno un fabbricato può non essere compatibile con il paesaggio perché rovina un panorama, perché nasconde una veduta, perché guasta uno scenario, mentre per altri dipingere di azzurro acceso una palazzina in un quartiere storico che presenta una omogenea colorazione tenue gialla, arancione e rossa fa risaltare il contesto e ne esalta la prospettiva!

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