Mettiamoci il cappotto!

Ma quanti ne abbiamo installati? E quanti ne installeremo nel prossimo futuro? L’efficienza energetica degli edifici è una preoccupazione sempre più centrale nella progettazione e nella gestione delle costruzioni. Tra le strategie adottate per migliorare le prestazioni energetiche degli edifici, l’utilizzo di cappotti termici, cioè la coibentazione di pareti, tetti e solai, riveste un ruolo chiave. Però dobbiamo curarli: la conservazione di tali sistemi nel tempo richiede un impegno costante nella manutenzione, il risanamento tempestivo in caso di problemi e, talvolta, la necessità di rinnovare cappotti termici esistenti.

Soprattutto, la manutenzione regolare del cappotto termico è fondamentale per preservarne il rendimento nel tempo: gli elementi esterni come l’inquinamento atmosferico, le intemperie e l’usura naturale possono compromettere l’integrità del rivestimento. Un programma di manutenzione ben strutturato include ispezioni periodiche, pulizia e la riparazione tempestiva di eventuali danni.

Prima di intraprendere qualsiasi intervento, dobbiamo condurre un’analisi approfondita dello stato attuale del cappotto termico, una valutazione che consideri la qualità dei materiali utilizzati, l’efficacia dell’isolamento e la presenza di eventuali danni, visibili o invisibili. Solo attraverso un’analisi dettagliata è possibile identificare le aree che richiedono attenzione e intervento.

La termografia a infrarossi rende possibile vedere al di là della superficie delle pareti e dei tetti, consentendo analisi e verifiche non invasive: con la termografia, è come avere una “visione termica” che ci permette di rilevare le differenze di temperatura invisibili a occhio nudo. Questo strumento sorprendente trova applicazioni innumerevoli in campo edilizio e impiantistico: La termografia è come uno scanner termico che cattura le immagini termiche, rivelando dove ci sono perdite e punti critici.

Le problematiche che possono affliggere i cappotti termici sono diverse e possono derivare da molteplici fattori. Le infiltrazioni d’acqua, la formazione di muffe, l’usura dei materiali e la perdita di isolamento termico sono solo alcuni esempi. Comprendere le cause di queste problematiche è essenziale per definire soluzioni mirate e durature.

Anche la non corretta installazione della coibentazione, problema sentito specialmente con l’utilizzo di manodopera non qualificata e formata, è una delle principali cause di deterioramenti e inconvenienti collaterali, con conseguente imperfetta adesione alle pareti e distacchi spesso pericolosi anche per l’incolumità delle persone: pensiamo solo al distacco di un cappotto termico da un palazzo di sette piani cosa può comportare cadendo a terra sui passanti!

Per affrontare efficacemente le problematiche riscontrate, è necessario adottare soluzioni mirate. La riparazione delle crepe, la sostituzione delle porzioni danneggiate e l’applicazione di nuovi strati di rivestimento termico sono parte integrante del processo di risanamento: l’uso di materiali di alta qualità e tecnologie avanzate, installati a regola d’arte, contribuisce a migliorare l’efficienza complessiva e la sicurezza del sistema.

In certi casi, soprattutto quando i cappotti termici sono obsoleti o non rispondono più alle esigenze energetiche, è addirittura necessario considerare il loro completo rinnovo: questo processo implica la sostituzione totale del rivestimento termico, assicurando l’installazione di materiali nuovi, moderni ed efficienti.

Investire nella cura e nella revisione degli isolamenti a cappotto non solo prolungherà la vita utile degli edifici, ma contribuirà anche a ridurre l’impatto ambientale attraverso una maggiore efficienza energetica.

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Parti, controlla, fermati!

Si, si, usiamo attrezzature in fabbrica, nelle linee di produzione, azioniamo e fermiamo le macchine, Ma chi ci dice come devono essere progettati i sistemi di controllo e regolazione? Certamente l’efficacia delle manovre deriva da una progettazione orientata a ottimizzare tempi e spazi delle operazioni, ma l’aspetto sicurezza sul lavoro è ciò che indica le funzioni imprescindibili da prevedere per l’immissione sul mercato di un macchinario.

E sempre il D.Lgs. 81/08, all’Allegato V, individua proprio i requisiti che devono avere i dispositivi di comando delle attrezzature di lavoro.

I sistemi di comando rivestono un ruolo cruciale nella sicurezza sul luogo di lavoro: affinché questi sistemi svolgano il loro compito nel migliore dei modi, e sottolineo migliore, è essenziale considerare una serie di prescrizioni pratiche volte a garantire il corretto funzionamento e la protezione di operatori e persone esposte.

La scelta dei sistemi di comando deve basarsi su criteri di affidabilità, considerando i possibili guasti, disturbi e sollecitazioni previste durante l’uso progettato dell’attrezzatura. La sicurezza è un elemento chiave in questa selezione, e i dispositivi di comando devono essere conformi a standard che la devono garantire.

I comandi che influiscono sulla sicurezza devono essere chiaramente visibili, facilmente individuabili e contraddistinti in modo appropriato: questo non solo facilita l’operatività, ma contribuisce anche a un rapido riconoscimento in situazioni di emergenza.

Devono essere posizionati al di fuori delle zone pericolose, ma se alcuni dispositivi devono essere localizzati proprio in queste aree, come ad esempio gli arresti di emergenza, devono essere piazzati in modo che la loro manovra non causi rischi aggiuntivi. L’obiettivo è evitare rischi conseguenti a manovre accidentali.

Dall’area di comando principale, l’operatore deve essere in grado di accertare l’assenza di persone nelle zone pericolose, e se ciò non è possibile, qualsiasi attivazione dell’attrezzatura deve essere preceduta da segnali d’avvertimento sonori o visivi. Questo offre alle persone esposte il tempo necessario per allontanarsi prontamente da eventuali rischi causati dall’attivazione o dall’arresto dell’attrezzatura.

È necessario che i dispositivi di comando possano essere bloccati, se necessario, per evitare azionamenti intempestivi o involontari: questo aspetto è fondamentale per garantire che le attrezzature sia manovrata solo quando necessario e da personale autorizzato.

I motori che possono funzionare a diverse velocità devono essere dotati di regolatori automatici che impediscono di superare i limiti previsti: questi regolatori devono, a loro volta, essere muniti di dispositivi di segnalazione del loro corretto funzionamento. In situazioni in cui una procedura scorretta dell’azionamento può causare pericoli, è fondamentale fornire protezioni che garantiscano la corretta sequenza.

L’avviamento di un’attrezzatura deve avvenire soltanto attraverso un’azione volontaria su un organo di comando dedicato: questa disposizione mira a garantire che l’avviamento sia deliberato e controllato, riducendo al minimo il rischio di attivazioni fortuite o non autorizzate.

Dopo un arresto, indipendentemente dalla sua origine, la rimessa in moto deve seguire una procedura sicura e controllata: sottolineiamo che anche in questo caso l’azione volontaria su un organo di comando è fondamentale per garantire che la riattivazione avvenga in modo controllato. Questo aspetto è cruciale per evitare situazioni pericolose e garantire la sicurezza di chi opera nelle vicinanze dell’attrezzatura.

Il comando di modifiche rilevanti alle condizioni di funzionamento, come variazioni di velocità o pressione, deve avvenire attraverso azioni volontarie, a meno che tali modifiche non comportino rischi per i lavoratori esposti: il controllo di queste modifiche deve avvenire in modo consapevole e controllato, riducendo al minimo il rischio di incidenti.

Questa disposizione non si applica quando la rimessa in moto o la modifica delle condizioni di funzionamento risultano dalla normale sequenza di un ciclo automatico: infatti, in questo contesto, la sicurezza è integrata nel programma di funzionamento, assicurando che le fasi del ciclo siano eseguite senza rischi per gli operatori.

Ogni attrezzatura di lavoro deve essere equipaggiata con un dispositivo di comando dedicato all’arresto generale in condizioni di sicurezza: questo requisito fondamentale garantisce che, in caso di emergenza o rischio imminente, l’intera attrezzatura possa essere fermata istantaneamente, proteggendo così la sicurezza degli operatori e di chiunque si trovi nelle vicinanze.

Ogni postazione di lavoro deve essere dotata di un dispositivo di comando che consente di arrestare, in funzione dei rischi specifici presenti, l’intera attrezzatura o solo una parte di essa: questa personalizzazione è fondamentale per affrontare situazioni in cui è necessario disattivare solo determinate componenti dell’attrezzatura, mantenendo il resto in funzione in modo sicuro.

L’ordine di arresto dell’attrezzatura deve essere prioritario rispetto agli ordini di messa in moto: questa gerarchia assicura che, in situazioni di emergenza, l’arresto immediato sia sempre possibile, riducendo al minimo il rischio di incidenti e danni. Ottenuto l’arresto dell’attrezzatura o dei suoi elementi pericolosi, l’alimentazione degli azionatori deve essere interrotta, completando così il processo di sicurezza.

Ricordiamoci sempre che adottare pratiche di conduzione responsabile nell’avviamento, arresto e controllo delle attrezzature di lavoro è un must per garantire un ambiente di lavoro sicuro: la sicurezza nei sistemi di comando non è solo una necessità normativa, ma un elemento chiave per la gestione responsabile delle attrezzature di lavoro.

La conformità alle linee guida pratiche che la normativa ci indica non solo riduce i rischi associati alle operazioni, ma dimostra soprattutto un impegno verso il mantenimento della sicurezza nei luoghi in cui lavoriamo, per tutti gli operatori e le persone coinvolte. La sicurezza prima di tutto.

 

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Attento che scoppia!

Non ce ne accorgiamo sempre, ma il testo unico sulla sicurezza sul lavoro, l’amato e odiato D.Lgs. 81/08, nel suo identificare gli aspetti gestionali e di analisi del mondo dei rischi, prende in considerazione la quasi totalità degli aspetti legati al mondo degli ambienti di lavoro, di ogni tipo, e ne indica i requisiti essenziali, che diventano obblighi imperativi.

La protezione contro esplosioni, incendi, gas asfissianti o tossici e radiazioni nocive è uno degli aspetti che viene regolato dall’Allegato IV del testo unico, per le operazioni industriali che possono comportare questa serie di rischi significativi. Affrontare tali rischi richiede una gestione attenta e la creazione di ambienti sicuri. In questo contesto, focalizzandosi sulla necessità di isolare adeguatamente le operazioni a rischio per garantire la sicurezza degli operatori, il paragrafo 2.1.7 dell’allegato suindicato sottolinea l’importanza di condurre attività potenzialmente pericolose in locali o luoghi adeguatamente isolati. Questa misura di isolamento serve come barriera efficace contro gli elementi nocivi, fornendo una difesa cruciale contro la propagazione di esplosioni, incendi e sostanze tossiche.

L’isolamento degli ambienti in cui vengono svolte operazioni a rischio di esplosioni e incendi è essenziale per prevenire conseguenze catastrofiche. Le strutture dovrebbero essere progettate e costruite con materiali resistenti al fuoco e dotate di sistemi di ventilazione che possano gestire la dispersione di gas potenzialmente infiammabili.

La gestione di operazioni che coinvolgono gas asfissianti o tossici richiede un’attenzione particolare. L’isolamento dei luoghi di lavoro è fondamentale per evitare la diffusione di sostanze dannose nell’ambiente circostante. Sistemi di ventilazione avanzati e dispositivi di rilevamento devono essere implementati per garantire una risposta tempestiva in caso di emergenza.

Nei casi in cui le operazioni comportano il rischio di irradiazioni nocive, l’isolamento delle aree coinvolte è essenziale per proteggere gli operatori e limitare l’esposizione a radiazioni dannose. Materiali schermanti e strutture progettate per minimizzare la trasmissione di radiazioni sono componenti vitali in tali ambienti.

Per tradurre questi principi in azioni concrete, è necessario un approccio integrato che include innanzitutto dei punti fondamentali:

Valutazione del rischio: una valutazione dettagliata dei rischi associati a ciascuna operazione, identificando le minacce specifiche e i potenziali punti di vulnerabilità.

Progettazione sicura: è il design for safety, un approccio basato sull’ingegneria delle strutture e delle attrezzature in modo che siano intrinsecamente sicure e dotate di misure di emergenza.

Formazione e consapevolezza: garantire che gli operatori siano pienamente consapevoli dei rischi associati alle loro attività e siano formati per rispondere in modo appropriato in situazioni di emergenza.

Manutenzione preventiva: monitoraggio costante delle strutture e delle attrezzature per prevenire malfunzionamenti che potrebbero aumentare il rischio di incidenti.

L’isolamento adeguato delle operazioni a rischio è fondamentale per garantire un ambiente di lavoro sicuro. La conformità al paragrafo 2.1.7 rappresenta un impegno tangibile verso la protezione degli operatori e la prevenzione di incidenti gravi. La gestione sicura delle operazioni richiede un criterio pratico e razionale, che integri valutazioni dettagliate, progettazione intelligente e formazione continua per mantenere un ambiente lavorativo sicuro e protetto.

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Stop alle compravendite immobiliari

Ma cosa sta succedendo? Le leggi e i regolamenti che riguardano l’efficienza energetica degli edifici sono diventati un terreno minato di complicazioni e difficoltà per i cittadini, gli imprenditori e persino i professionisti del settore.

In particolare, le verifiche dell’ARPA (Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale) relative agli Attestati di Prestazione Energetica (APE) hanno sollevato una serie di problematiche che richiedono una profonda riflessione e, possibilmente, una riforma urgente.

Il pericolo immediato è che in Italia si blocchino le compravendite per la impossibilità di redigere l’APE, documento indispensabile in sede di transazione degli immobili.

Ma di cosa sto parlando?

Partiamo dalla considerazione che la redazione di queste relazioni tecniche, ormai obbligatoria da più di dieci anni per le compravendite e per le locazioni di immobili, prevede l’utilizzo di software sofisticati e molto performanti: i dati di ingresso sono quelli digitati dai tecnici che eseguono i sopralluoghi negli immobili, e spesso sono inseriti nel software in maniera forfettaria, non potendo eseguire rilievi invasivi e non trovando disponibili, tra gli altri, schede tecniche complete degli impianti e degli infissi installati. Le stesse stratigrafie di pareti, soffitti e pavimenti viene decisa dal tecnico in dipendenza dalla propria esperienza e conoscenza della tipologia costruttiva. Cioè, l’APE non ha e non può avere, se non per le nuove costruzioni, un valore univoco e scientificamente valido.

E allora, quando diciamo superficialmente che gli immobili in Italia sono tutti in classe G o F, ci siamo mai chiesti quanto sono verosimili i calcoli effettuati dai tecnici di tutta Italia?

Fino a oggi l’APE è stato redatto, con la massima diligenza, lealtà, correttezza e perizia possibili e necessarie, ma con dati appena sufficienti, con costi estremamente ridotti, il che spiega e giustifica la debolezza dei risultati: non è certo un segreto che on line ci sono società di servizi che fanno l’APE a 50 Euro a fronte dell’invio di visura, planimetria catastale e solo qualche altro dato tecnico.

L’ARPA richiede invece, oggi, in sede di controllo, una grande quantità di documentazione per verificare l’accuratezza nel rilascio di un APE e la sua congruenza con lo stato di fatto dell’immobile.

Per un immobile commerciale sono richiesti 31 documenti, mentre per un residenziale se ne richiedono 13. Tra questi documenti figurano, oltre al verbale di sopralluogo obbligatorio, le verifiche di messa a terra, i rilievi plano altimetrici dell’immobile, con piante, sezioni e prospetti, le dichiarazioni di conformità degli impianti, i libretti di impianto completi di tutti gli impianti presenti, in particolare climatizzazione invernale, estiva, acqua calda sanitaria, illuminazione, le targhette degli impianti, la documentazione fotografica esterna e interna dell’edificio, con i principali elementi energicamente rilevanti del sistema dell’edificio impianto, cioè tipologia costruttiva dei tamponamenti opachi, serramenti, sistemi di emissione, sistemi di regolazione, generatore di calore, l’abaco delle stratigrafie con dati energetici e con particolari costruttivi, fotografie di dettaglio, schede materiali, l’abaco serramenti con dati energetici, schede tecniche, certificazioni ed elaborato con il loro esatto posizionamento plano-altimetrico, l’abaco dei ponti termici.

Allora l’APE diventa un problema serio e tangibile non tanto per il rilievo e per i calcoli energetici, quanto quando consideriamo la difficoltà di ottenere i documenti: la maggior parte delle abitazioni e degli esercizi commerciali in Italia non li ha a disposizione, il che rende praticamente impossibile redigere un APE in maniera giustamente, e sottolineo giustamente, accurata.

Le conseguenze di questa situazione sono molteplici e gravose.

In primo luogo, chiunque sia incaricato di emettere un APE rischia multe significative, a partire da 1.400 euro, ma rimangono comunque una spesa ingiustificata per chi è impegnato a seguire le procedure con onestà.

In secondo luogo, questa procedura mette in pericolo il mercato immobiliare, sia per le abitazioni che per gli esercizi commerciali, causando ritardi nelle compravendite e impattando negativamente sull’economia: i tecnici si devono rifiutare dell’incarico di eseguire i calcoli per l’APE in caso di mancanza di documentazione da parte del proprietario.

E che dire poi della fretta troppo spesso endemica degli attori coinvolti in una compravendita?

Alzi la mano chi non ha mai ricevuto una telefonata dall’agenzia immobiliare, dal Notaio o dal proprietario che, già seduti sul tavolo della compravendita, con la penna per le firme sull’atto, non avevano l’APE!

È evidente che qualcosa deve cambiare: dovremmo considerare l’idea di trasformare gli APE in una pratica più seria, simile a una pratica edilizia completa: questo significherebbe includere una serie di analisi più dettagliate, come carotaggi per il rilievo delle stratigrafie esatte di pareti, soffitti e pavimenti, oltre a caratteristiche dimensionali ed energetiche vere degli infissi e degli impianti, con l’utilizzo di termocamere a infrarossi per l’ispezione dei ponti termici.

Un APE di questa complessità giustifica un costo maggiore di quello attuale, tanto maggiore, ma sarebbe più equo nei confronti di tutti gli attori coinvolti: invece dei pochi euro attuali l’APE dovrebbe allora costare almeno 1500 euro, così da coprire almeno le multe dell’ARPA (comminate addirittura sul 95% dei controlli effettuati! come sottolineato anche dall’Ordine degli Architetti di Roma a giugno 2023) e da elaborare solo e soltanto in presenza di tutta la documentazione tecnica richiesta dalle verifiche dell’ARPA.

E se qualcuno dei documenti richiesti non è presente… l’APE non si fa e la casa non si può vendere: e quindi sarà inutile la frase che i Notai possono ancora inserire nell’atto attestando l’assenza della dichiarazione di conformità degli impianti: come si sposa questa prassi con i documenti richiesti dall’ARPA e le conseguenti sanzioni al tecnico certificatore energetico?

E allora rendiamo anche obbligatorio allegare la documentazione richiesta, già dal momento della protocollazione dell’APE in Regione: così rendiamo il processo delle verifiche ARPA più veloce, immediato, trasparente ed efficiente fin dall’inizio, nell’interesse di tutte le parti coinvolte, i cittadini, i tecnici e le autorità di regolamentazione.

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