Bottega d’arte e sicurezza: il mondo dei parrucchieri, tra bellezza e protezione.

Il motore si spegne, e mi sistemo al volo nello specchietto retrovisore prima di scendere. Parcheggiato tra una macchina e l’altra, mi faccio strada lungo il marciapiede, dove un leggero vento di città solleva foglie e odore di caffè.

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Ogni passo mi avvicina al mio barbiere di fiducia, e mi scappa un mezzo sorriso, sapendo che tra pochi minuti mi siederò su quella poltrona familiare. Le vetrine dei negozi scorrono ai lati, fino a quando compare davanti a me quella piccola insegna. Apro la porta e vengo accolto dal profumo inconfondibile di lozioni e profumi, insieme a suoni metallici e decibel in azione.

Quante volte, nella nostra quotidianità, pensiamo alla sicurezza sul lavoro? Probabilmente, le prime immagini che ci vengono in mente riguardano i cantieri, i caschi protettivi, le imbracature. Ma la realtà è che ogni attività, sì, proprio ogni attività, nasconde dei rischi, anche quelle che associamo più al comfort e alla cura personale.

Un salone di bellezza, un parrucchiere, un barbiere: ci andiamo per rilassarci, per farci coccolare, per sentirci meglio con noi stessi. Eppure, dietro le forbici, i phon, i coloranti e i sorrisi dei parrucchieri c’è un mondo di pericoli invisibili che loro affrontano ogni giorno. Rischi chimici, elettrici, posturali e persino psicologici. È una realtà che, a prima vista, non emerge, ma che incide profondamente su chi ci lavora.

In questa puntata, esploreremo insieme questo lato nascosto del mondo dell’hairstyling, per scoprire come dietro ogni taglio, ogni colpo di spazzola, ci sia un impegno costante alla sicurezza. Perché, dopotutto, sentirsi bene e lavorare sicuri sono due aspetti che, nelle mani di un professionista, devono sempre andare di pari passo.

Mi sono seduto sulla poltrona, pronto a farmi sistemare il taglio. Il riflesso nello specchio mi restituisce un sorriso, un misto di fiducia e aspettativa. Attorno a me, ragazzi giovani, pieni di energia e ambizione, si muovono come in una coreografia ben orchestrata: mani esperte che tagliano, spazzolano, acconciano, in un ritmo che è quasi una danza. Gli sguardi concentrati, i movimenti decisi, quella passione palpabile che riempie la stanza.

Un giovanissimo apprendista indossa una maglietta nera, un paio di jeans consumati e un paio di sneakers. Sta osservando il maestro al lavoro, lo sguardo fisso, catturato da ogni mossa, ogni tecnica, come se stesse cercando di assorbire ogni gesto, ogni trucco del mestiere.

Mentre il mio barbiere passa la mano tra i capelli con sicurezza e precisione, il salone sembra per un attimo fermarsi. È come se ogni taglio, ogni sfumatura, ogni piccolo dettaglio raccontasse un desiderio: diventare sempre più bravi, giorno dopo giorno, una ciocca alla volta.

Sì, è un ambiente giovane. Un ambiente in cui il talento è in crescita e la voglia di migliorare è come una corrente che attraversa ogni sguardo, ogni forbice che taglia, ogni phon che soffia. Mentre mi siedo, guardo tutto questo con occhi curiosi. Per loro non è solo un lavoro: è un’arte, una passione che li spinge a non fermarsi mai.”

Ho un’impressione netta: questo non è solo un salone, è un laboratorio di sogni, dove il desiderio di essere “sempre più bravi” si taglia e si acconcia, proprio come i capelli.

Mentre osservavo le mani esperte di Guido, non ho potuto fare a meno di guardare con occhi da ingegnere…e da consulente della sicurezza. In un ambiente che di solito sembra tutto scintillante e profumato, ho iniziato a notare i rischi nascosti dietro ogni prodotto, attrezzo e movimento. Dietro al glamour del mondo della bellezza, i parrucchieri affrontano sfide sorprendenti: i pericoli che devono affrontare ogni giorno per prendersi cura di noi.

Innanzitutto, i prodotti chimici. I coloranti, le decolorazioni, le permanenti… sono sostanze che permettono trasformazioni straordinarie, ma nascondono rischi invisibili. Ci pensi mai a quante ore trascorrono le mani del parrucchiere immerse in queste sostanze? Ecco, è per questo che i guanti, le maschere e l’aerazione sono tanto importanti: ogni singola precauzione è vitale per evitare dermatiti, problemi respiratori e altri effetti negativi.

Eccola: la grande sala dalle pareti colorate di verde in tutte le sue sfumature, interrotta da specchi enormi con cornici in metallo nero e luci soffuse che danno al tutto un’atmosfera calda e raffinata.

Il mio sguardo si sposta lentamente tra le poltrone, dove donne e uomini di ogni età sono immerse in un rituale di bellezza, ciascuna in un piccolo mondo di intimità e trasformazione. C’è una donna con lunghi capelli castani avvolti nei bigodini, seduta pazientemente mentre la parrucchiera controlla la sua permanente con un sorriso rassicurante. Ogni tanto si scambiano un’occhiata, quasi come se comunicassero senza parole, tra un gesto abile della professionista e un piccolo movimento nervoso della cliente.

A fianco, una giovane con uno stile grintoso sta osservando con attenzione il suo riflesso mentre le forbici seguono la linea immaginaria del taglio. Ha un’espressione concentrata, a tratti esigente, come se volesse assicurarsi che ogni ciocca vada esattamente dove ha immaginato. Le lame luccicano sotto la luce e ogni taglio è netto, deciso, come un colpo di scena.

Più in là un’altra poltrona: una ragazza dagli occhi vivaci sta ridendo, con ciocche decolorate divise in sezioni da fogli di alluminio. Una giovane apprendista, con i guanti in lattice, applica con attenzione il colore, tra sguardi divertiti e chiacchiere leggere. La cliente le racconta di un viaggio imminente, mentre la parrucchiera risponde con consigli e sorrisi, come se le due fossero già amiche di vecchia data.

Il ritmo vivace di questo microcosmo di creatività. Le risate si mescolano al rumore dei phon, i colori delle tinte riflettono sotto le luci e ogni volto, ogni ciocca, sembra raccontare una storia unica, un sogno, un desiderio di trasformazione.

Qui, tra il profumo dei prodotti e il suono delle risate, ognuno vive il suo piccolo momento di bellezza. Ogni poltrona è un palcoscenico, ogni taglio un’interpretazione personale, un riflesso di come ognuna vuole apparire e, forse, sentirsi. È un luogo dove non si viene solo per cambiare aspetto: è una scena di vita, un laboratorio di autostima, una celebrazione di identità.

Immagina quella lotta interiore come una scena in slow motion, in cui ogni dettaglio emerge con chiarezza. Da una parte, c’è il puro piacere di vivere il momento, il godimento estetico di ogni gesto armonioso, del calore dell’ambiente, delle risate e della leggerezza che si respira in ogni angolo del salone. È come un dipinto vivo, in cui tutto sembra essere al suo posto per donare un’esperienza perfetta e rilassante.

Ma, in un angolo della mia mente si accende una luce di consapevolezza: noto il cavo elettrico arrotolato troppo vicino all’acqua, il fumo appena percettibile dei prodotti chimici che si alza da un tavolo, il calore costante dei phon che crea una tensione invisibile. La logica interviene, quasi come una voce fuori campo, che mi ricorda la necessità di misure di sicurezza, di prevenzione, di attenzione a quei dettagli che passano inosservati ma che in realtà racchiudono rischi nascosti.

Così, mentre il mio gusto per l’estetica e per il vivere queste sensazioni si immerge nella bellezza dell’ambiente, la razionalità si fa strada, sottile e precisa, ricordandomi che la sicurezza non è mai scontata, nemmeno nei luoghi che consideriamo familiari. L’armonia di questo luogo nasconde delle vulnerabilità, ed è il mio sguardo allenato che me le svela, facendomi riflettere su quanto sia importante mantenere quell’equilibrio sottile tra il vivere e il proteggere.

È una sensazione complessa, come camminare su una corda tesa tra la spensieratezza del momento e il richiamo alla responsabilità. E in quel salone, seduto sulla poltrona, mentre vivi queste emozioni contrastanti, percepisci che la bellezza e la sicurezza sono due lati della stessa medaglia, entrambi necessari per rendere quell’ambiente piacevole, protetto e consapevole.

Si, eccolo. C’è il rischio legato alle attrezzature elettriche. Asciugacapelli, piastre e forbici elettriche: questi strumenti quotidiani nascondono il rischio di scosse e ustioni se non vengono maneggiati correttamente o se, nel mezzo del lavoro frenetico, capita di non accorgersi di un cavo malmesso. La manutenzione costante e una formazione adeguata non sono solo formalità burocratiche: sono la differenza tra un gesto professionale e un incidente evitabile.

E se pensi che i parrucchieri passano ore in piedi, capirai anche il perché del rischio muscoloscheletrico. Quei gesti ripetitivi, quei piegamenti e quei sollevamenti, giorno dopo giorno, sono una maratona che sfida il fisico. Per questo un bravo parrucchiere deve conoscere le pause e gli esercizi di stretching, proprio come un vero atleta.

Il barbiere termina gli ultimi ritocchi, passa la mano tra i miei capelli appena tagliati e, con un gesto abile, prende lo specchio, posizionandolo dietro di me. Vedo il riflesso del taglio, osservo il profilo, i dettagli, e per un momento mi godo il risultato. Guido, con un sorriso soddisfatto, annuisce, come se stesse dicendo: “Ecco, è perfetto.”

Mi alzo, sento la leggerezza tipica di chi si è liberato di qualche ciocca di troppo, di chi ha passato un’ora dedicata solo a sé. MI dirigo verso il bancone, scambio qualche battuta, pago e apro la porta per uscire.

Appena fuori, a un passo dalla porta, mi giro un’ultima volta. Gli occhi si soffermano su quella piccola bottega d’arte, su quel luogo che, nel suo apparente caos di attrezzi, profumi e persone, nasconde un ritmo perfetto, una dedizione quasi artigianale. Li saluto con un cenno della mano, un sorriso accennato che contiene una sorta di ringraziamento non detto: quella passione viscerale e quella cura rimangono intatte, ogni volta.

E mentre vado, con uno sguardo lanciato oltre la vetrina, penso che, forse, la bellezza vera sta proprio in quell’equilibrio invisibile tra arte e attenzione, tra la voglia di vivere e la consapevolezza di proteggersi.

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Dalla teoria alla pratica: come le certificazioni ISO fanno crescere le aziende

Vi siete mai chiesti come le aziende possono garantire qualità, sicurezza e responsabilità sociale allo stesso tempo?

Con le certificazioni ISO le aziende possono distinguersi, perché garantiscono standard elevati dei propri processi e delle proprie politiche, E nel contesto economico e sociale di oggi non è cosa di poco conto.

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Dietro ogni certificazione ISO, sia essa relativa alla gestione della qualità (ISO 9001), alla sicurezza (ISO 45001), alla responsabilità sociale (SA8000), alla parità di genere (UNI/PdR 125:2022), alla gestione dell’energia (ISO 50001), all’ambiente (ISO 14001), o alla sicurezza delle informazioni (ISO 27001), c’è sempre la stessa filosofia. Un ciclo continuo di pianificazione, esecuzione, verifica e miglioramento. Questa è la gestione di una azienda moderna e innovativa, da qualsiasi punto di vista.

Le certificazioni ISO non sono solo certificati da appendere al muro. Sono un vero e proprio modo di gestire l’azienda.

Si parte dall’immaginare una politica aziendale adatta al contesto in cui si opera. Ogni organizzazione deve definire obiettivi coerenti con i valori e le aspettative del mercato. Per esempio, nell’ISO 45001 sulla sicurezza sul lavoro, la politica aziendale sarà incentrata su come prevenire incidenti e creare un ambiente sicuro.

Con la SA8000 l’azienda si impegna a garantire condizioni di lavoro etiche, giuste, responsabili. Riconosce l’importanza di sostenere i diritti umani e lavorativi, di promuovere il benessere dei dipendenti e di migliorare continuamente le pratiche aziendali. Le ISO diventano il riferimento guida per tutte le operazioni e le interazioni con tutti gli attori coinvolti, interni o esterni all’azienda. Per dirne una, anche i fornitori sono scelti e monitorati: anche loro devono avere la stessa filosofia, altrimenti vengono scartati.

Una volta definita la politica, si procede con la valutazione dello stato di fatto e dei rischi, quelli relativi a ciascuna delle certificazioni. È come quando stai per iniziare un progetto importante: hai bisogno di sapere da dove parti e dove potrebbero esserci ostacoli.

È qui che l’azienda prende consapevolezza delle sue debolezze. Nella ISO 50001, ad esempio, per la gestione dell’energia, questo significa identificare le aree dove si spreca energia e dove si può migliorare l’efficienza. Si mettono così in luce i punti deboli su cui agire.

Prendiamo l’ISO 27001 sulla sicurezza delle informazioni: l’azienda deve prima identificare le vulnerabilità dei suoi sistemi informativi e valutare i rischi di cyber-attacchi, perdita di dati o accessi non autorizzati, per dirne alcuni.

Ma un’azienda che si certifica ISO deve sempre chiedersi: ‘Stiamo davvero facendo quello che abbiamo promesso?’

Gli audit interni sono parte essenziale del sistema ISO. Si fanno verifiche periodiche: solo in questo modo l’azienda controlla se i processi sono allineati con gli standard e se vengono rispettate le procedure. È un momento di analisi critica che serve a correggere eventuali errori prima che diventino gravi problemi. Per esempio, nell’ISO 27001 sulla sicurezza delle informazioni, un audit può rivelare una falla nella protezione dei dati: l’azienda interviene prima che un attacco informatico faccia danni. Si potrebbe pensare che non ci sia bisogno di un sistema di gestione per accorgersi di aver preso un virus o di aver subito un incendio in sala server. È vero, ma il concetto non è accorgersene quando il danno è fatto, ma monitorare continuamente la situazione e prevenire con metodo, con organizzazione. E guardate che non è così faticoso: basta organizzare bene il sistema di gestione e adattarlo alle proprie modalità operative. Direi… tutta salute.

Un esempio concreto di audit interno utile nel contesto della ISO 27001 riguarda una società di servizi finanziari che gestisce grandi quantità di dati sensibili dei clienti. Durante un audit interno, il team ha scoperto che alcuni dipendenti stavano archiviando informazioni riservate su dispositivi non autorizzati, chiavette USB personali. Questo è un grave rischio per la sicurezza dei dati.

Grazie all’audit, l’azienda si è accorta della prassi sbagliata, ed è intervenuta immediatamente, bloccando l’accesso ai dispositivi non sicuri. Si sono scritte nuove procedure per la gestione dei dati e si è data una spinta per la formazione dei dipendenti sulla sicurezza delle informazioni. L’audit ha evitato potenziali violazioni di dati e rafforzato le misure di protezione. Se poi la politica di sicurezza si pubblicizza all’esterno, si aumenta la fiducia dei clienti. Questo, credetemi, non ha prezzo.

I problemi non vanno mai nascosti sotto il tappeto. Ogni volta che c’è un errore, è un’occasione per migliorare.

La registrazione degli incidenti e delle non conformità è un’altra parte essenziale di qualsiasi processo ISO. Quando si verifica un problema, non si ignora: si documenta. Questo approccio permette di fare analisi dettagliate e di comprendere le cause alla radice. È un momento di apprendimento che, se gestito correttamente, previene futuri errori.

Le azioni correttive non si devono poi limitare a riparare i danni. Vanno oltre. Per esempio, se in un cantiere si rileva un problema con i dispositivi di protezione individuale, non basta sostituirli. Bisogna anche implementare un piano di formazione e controllo per evitare che la situazione si ripresenti. L’azione correttiva deve risolvere il problema alla radice.

Non basta ottenere la certificazione una volta. Ogni giorno si può migliorare qualcosa.

Il piano di miglioramento continuo è un principio cardine di ogni certificazione ISO. Non ci si accontenta di essere conformi una volta. Si mira a ottimizzare costantemente i processi, cercando sempre nuove soluzioni. Nell’ISO 9001 sulla qualità, ad esempio, questo significa migliorare i prodotti o i servizi per superare le aspettative del cliente. Nella gestione della parità di genere migliorarsi significa favorire pratiche sempre più inclusive. Garantire che l’equità non sia solo un principio astratto, ma una realtà tangibile all’interno dell’azienda.

Una certificazione non è un successo se non arriva fino all’ultimo dipendente.

Il piano di formazione è indispensabile. Senza un personale formato e aggiornato, ogni sforzo rischia di essere vano. I dipendenti devono conoscere i rischi, non solo quelli sulla sicurezza sul lavoro, capire le procedure e saperle applicare correttamente. In ogni sistema ISO, la formazione è la base che garantisce che tutti siano allineati agli obiettivi dell’azienda.

La filosofia ISO è un percorso, non una destinazione. Pianifichi, esegui, controlli e migliori. Sempre.

ISO non è solo un sistema formale, è una mentalità. Ogni passo, dalla valutazione dei rischi agli audit, dall’azione correttiva alla formazione, serve a creare un’organizzazione capace di evolversi e adattarsi, migliorando costantemente i propri processi.

Voglio riportare due esempi di aziende delle quali ho avuto il piacere di seguirne l’ottenimento delle certificazioni. La prima è un’azienda manifatturiera che utilizza molta energia per alimentare i macchinari e i processi produttivi. Credendo nella ISO 50001, l’azienda ha iniziato a monitorare in modo sistematico il consumo energetico, identificando inefficienze nel reparto di produzione. Grazie a un’analisi accurata, hanno installato sensori per ottimizzare l’uso delle macchine solo quando necessario e adottato fonti di energia rinnovabile. Questo ha ridotto il consumo del 15% e abbassato i costi operativi. Tra l’altro abbiamo anche migliorato l’impatto ambientale dell’azienda, e oggi l’attenzione a questi temi è sotto gli occhi di tutti. Vabbè, ma non se ne sarebbero accorti anche senza ISO 50001? Avrebbero detto in qualche riunione sporadica che stavano pagando troppo in bolletta, ma per accorgersi delle cause, trovare la soluzione migliore e monitorare l’effetto della cura ci vuole un sistema di gestione. Datemi retta.

Un altro esempio riguarda una grande impresa edile. Qui, lo sappiamo,  il rischio di incidenti sul lavoro è elevato. Si, l’azienda comprava guanti, scarpe antinfortunistiche, caschi di protezione, Ma solo grazie alla ISO 45001, l’azienda ha introdotto un sistema rigoroso di controllo e prevenzione dei rischi. Hanno implementato procedure più sicure per l’uso dei macchinari, formato i dipendenti sui rischi specifici di ogni attività e potenziato le misure di protezione individuale. Grazie a questi interventi, gli incidenti sul lavoro sono calati del 30% in un anno, Così non si migliora solo la sicurezza, ma si costruisce e si fa crescere la motivazione e il benessere dei lavoratori.

Questi esempi mostrano come l’adozione di certificazioni ISO possa generare miglioramenti tangibili, riducendo i rischi e ottimizzando le risorse.

E tu, nella tua azienda, stai solo rispettando gli standard o stai cercando di superarli ogni giorno?

 

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Patente a punti nei cantieri

Dal primo ottobre entra in vigore una nuova misura per la sicurezza nei cantieri: la patente a punti per imprese e lavoratori autonomi. Questo sistema nasce con l’obiettivo di incentivare un comportamento più responsabile e sicuro nei luoghi di lavoro, introducendo sanzioni se non si rispettano le norme di sicurezza.

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L’introduzione della patente a punti è un altro, ennesimo, passo importante, ma è solo una parte del quadro più ampio della prevenzione degli incidenti sul lavoro.

La domanda si inoltra all’Ispettorato del Lavoro: bisogna dichiarare di essere iscritti alla camera di commercio, di essere in regola con gli obblighi formativi, con gli obblighi contributivi e fiscali, con la nomina del RSPP e con la redazione del documento di valutazione dei rischi.

Non credo che una ulteriore norma deterrente come questa fosse necessaria, perché già le imprese hanno l’obbligo di lavorare secondo le regole imposte dal D. Lgs 81/08. L’introduzione della patente a punti è solo un ricordare e riassumere alcuni punti già obbligatori.

È come se fosse emanata una legge per imporre agli automobilisti di avere l’auto con le revisioni in regola, allacciarsi la cintura, fermarsi sulle strisce pedonali e rispettare i limiti di velocità: cioè un breve riassunto del codice della strada magari confezionato con ChatGPT da qualche solerte e esagitato funzionario ministeriale in carriera.

Ciò che realmente fa la differenza in cantiere è la formazione e l’addestramento: non si tratta semplicemente di possedere un documento, una relazione ben fatta, un furgone pieno di attrezzature marcate CE e dispositivi di protezione, comunque necessari, ma di avere una reale consapevolezza di come comportarsi, di come prevenire i rischi e di come affrontare le situazioni critiche in maniera competente.

La patente a punti può fungere da ulteriore deterrente per i comportamenti negligenti e da premio di virtuosità per le imprese che già hanno i documenti in ordine, compresi DVR e POS, ma senza una solida base di conoscenze e competenze, rischia di diventare solo un’ulteriore burocrazia.

Lavorare in cantiere non significa solo eseguire compiti fisici, ma richiede una profonda comprensione dei rischi e delle procedure corrette, si, quelle giuste, quelle che ti fanno tornare a casa la sera. La sicurezza parte dalla capacità di sapere cosa si sta facendo e come farlo nel modo giusto. È qui che la formazione e la pratica cosciente, la pratica responsabile, entra in gioco come fattore determinante.

Prima di compiere qualsiasi azione, i lavoratori devono essere addestrati! Questo significa avere piena coscienza dei pericoli che il cantiere, anche il più organizzato di tutti, inevitabilmente presenta, conoscere le tecniche adeguate a svolgere le proprie mansioni, comprendere l’importanza dei DPI. Ogni azione in cantiere deve essere intrapresa con attenzione e cura, perché anche un piccolo errore può avere conseguenze gravi: e poi si salta sulla sedia appena il telegiornale o la stampa annunciano l’ennesimo incidente grave, o mortale, e scatta un misto di paura e voglia di diventare tutt’a un tratto ligi e morigerati, almeno per qualche giorno, magari perché si ha un cantiere in essere.

Quei maledetti e benedetti DPI! Spesso sottovalutati, odiati, abbandonati sui chiodi di una parete, lasciati sulla sedia nella baracca di cantiere o in bella vista appesi su un tubo del ponteggio. Questi dispositivi sono essenziali per prevenire infortuni e garantire la protezione del lavoratore, ma sono visti ancora come un ingombro, un fagotto in più, un fastidio inutile: “tanto cosa mai mi può succedere?”. Ma per essere realmente efficaci devono essere usati in maniera appropriata, e la formazione deve trasmettere il messaggio non solo sull’uso dei DPI, ma anche sul conoscere i momenti in cui essi sono necessari e come verificarne le condizioni.

Un lavoratore formato è un lavoratore consapevole. Si, è vero: indossare un casco, occhiali protettivi o e scarpe antinfortunistiche significa rispettare le regole.  Quello che è più importante, però, è che è un tassello per salvaguardare la propria salute e quella dei colleghi.

Essere competenti in cantiere: usare attrezzature e rispettare le norme, è vero, ma spostiamo il nostro obiettivo sulla capacità di capire quando si è effettivamente in grado di eseguire un lavoro. Tanti, ma proprio tanti incidenti sul lavoro sono causati perché si accettano mansioni per le quali non si è adeguatamente preparati, e a volte non si è stati neanche assunti per farlo.

Formarsi prima di agire è una regola d’oro: sapere cosa si sta facendo, capire come farlo correttamente e avere la capacità di riconoscere i propri limiti.

Ecco, magari invece di altre norme inutili è bene pensare a una informazione regolare e incessante, anche sui media, che alleni tutti alla cultura della sicurezza.

Il nostro mondo ci ha costretto a pensare che l’efficienza e la rapidità sono diventate ineluttabilmente prioritarie: e noi usiamo la testa, la nostra testa, svegliamoci dal torpore dei falsi ideali, delle utopie meravigliose, e rimettiamo a terra il nostro corpo, soprattutto il cervello: la sicurezza deve restare al primo posto.

I lavoratori hanno il diritto e il dovere di acquisire le competenze necessarie, direi ovvie,  per svolgere il loro lavoro in modo sicuro ed efficiente. Non basta solo rispettare la normativa, quello è solo una parte: occorre sviluppare questa cultura, che poi non riguarda solo i cantieri, per ricordarsi sempre che ogni azione deve essere guidata dalla consapevolezza dei rischi e dalla capacità di evitarli.

La patente a punti nei cantieri è uno strumento, secondo i legislatori, utile per promuovere la sicurezza e scoraggiare comportamenti irresponsabili. Ma senza la giusta formazione e una forte, cosciente attenzione alla competenza dei lavoratori, rischia di essere solo un’altra regola da seguire. La vera sicurezza nasce dall’educazione, dall’attenzione ai dettagli, e dall’impegno costante a imparare e migliorare. Prima di fare, occorre capire: perché in cantiere, ogni azione conta e la prevenzione è la chiave per evitare gli incidenti.

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